Che figurato muore
se a bruciapelo un angelo di tigre
mette in gioco la calza, il guanto duro
dell’inseguimento, e scolma dai piovaschi
l’accaduto, la cenere dispersa, il burro
scampato all’alibi, alla scena madre,
il grido si fa più identico, più oscena
e magra la ribalta: ma io nella carne
ho già scritto la mia vocazione indiscussa,
la scheggia che abbaglia, la selvaggina
che ingabbia la recita dei versi. O da noi
mille volte umiliata sirena dei mari del sud,
o allarmata sutura, o miele impareggiato,
risponde alla tua voce un impervio equinozio,
un disguido, alla tua pelle un intrico
di azzurre altalene: ma io mi sarei fatto
vedere da te sano di mente, ellittico, immortale,
intonsurato cavaliere errante
*
ma tu davanti a me non sei nessuno, né animale
né uovo, né pianta, in te non c’è riparo dalle frecce
degli Apaches. La tua lingua non è di fuoco, il tuo seme
inopportuno: sei come il pane quando ce lo danno
vestito da soldato o da sirena, o in sagoma di casa
o di pesce
*
ma poi se muoio che cosa gli racconto
al notturno animale che mi esdude
o lusinga con l’odore del cauterio,
della crusca che non ha via d’uscita,
a quale incerta sodomia mi raccomando
per la seta che rischia l’enfiagione,
per l’incipit picchiato a sangue,
con quale sussiego riacquisto la scure
sterrata di fresco e l’incendio,
il salve o regina che ingombra la pista,
il cespuglio da cui sgorghi gelata
come fionda finale, come attrito.
Per questa ruvida volgarità di base
rinfocola il sabba delle madri e ingeneroso
l’inguine spariglia la nudità, la fiaccola
che usurpa il plagio, che lo ferisce:
discontinuo e dilata è questa inarrestabile
primizia, questo a fondo incartato del fante
che di più non si può in un allarme
*
e poi (rivolto al pubblico) mi sembra
di morirti ogni volta tra le mani,
di arruffare una lana ostile al tempo
del vino e delle rose, quando emerge
l’allarme, il messo in fila, il fiuto
dei cani alle calcagna. Se anche bacio
quest’ala che indugia nel risparmio
(è prevista la sua disinvoltura,
le istruzioni a tergo, la voglia di gelato),
se anche sfido il pilota, il difensore,
se palleggio indelebile una tregua,
la spinta esonerata, il filo a punta,
resta mediocre il furto, diseguale
la regia dell’atleta sotto sforzo:
io finché resto al mondo è solamente
per abbreviare, per mettere un vestito