Lawrence Fane

Più o meno tutti i critici di Fane hanno osservato come il suo lavoro, superata la fase, diciamo così, pseudo-naturalistica, abbia infilato la strada che punta o allude al tecnologico, e come questa tecnologia possa essere di volta in volta definita archeologica, folkloristica, ctonica, magica, alchemica e via dicendo. Ora qui si vuole aggiungere, o piuttosto ribadire, che questa seriosità, questa, ripetiamo, voluta obsolescenza, non è tanto un’istanza finale, quanto un sapore, e anzi una maschera, uno specchio da attraversare.

L’obsolescenza, in altre parole, di cui abbiamo finora parlato come di un momento privilegiato (il fare a mano, il trattenere nella mano il segreto del fare), deve necessariamente misurarsi con l’idea di un calcolo, di uno studio messo in pratica per la realizzazione di una inadempienza. Fane realizza l’inadempienza, sollecitato dalla memoria, dalla nostalgia di antiche adempienze. Abbiamo già distinto il meramente inutile dall’inadempiente. Ora bisogna anche distinguere nettamente l’inadempiente dal semplice afunzionale perché un conto è dire che l’arte non può avere una funzione pratica, e fare opere astratte, e un conto assai diverso è perseguire l’afunzionale in sagome che richiamano invece quelle di marchingegni per i quali l’artista professa, oltretutto, un amore niente affatto effimero.
Cosa c’è sotto questo doppio salto mortale senza la rete? Io direi né più né meno che una fede laica nell’esistenza e nella palpabilità di una verità ulteriore, della consapevolezza che inerisce al fare per sapere e che lo rende diametralmente opposto, incommensurabile, politicamente nemico, del fare per ottenere. Senza tale sentimento della consapevolezza che nulla ha di sentimentale, l’umanità cessa di essere tale, e il suo disegno tecnologico, privato dell’invenzione (e della fede nell’inadempienza), scade, inevitabilmente, a progetto di consumo. E poco importa che sia, a volte, un progetto cosiddetto intelligente, o non imbarazzante, se non è capace di tradire, per via, le proprie premesse, se non è capace, in altre parole, di “approfittare” delle istigazioni che i materiali con cui l’opera concresce rilasciano, o disvelano, e che devono diventare, come dire, istruzioni per il compiersi dell’opera.

[“Le macchine inadempienti di Lawrence Fane”, in Lawrence Fane. Le macchine inadempienti, Milano, Mazzotta, 2006]

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