Marco Gastini

Nel catalogo della mostra La pittura… attorno tenutasi alla Galleria Lorenzelli di Milano nel 2002 […] Gastini ha scritto:

“Metto in atto dei meccanismi… mi ritraggo come spettatore e non rappresento… e cosa dovrei rappresentare, tutto è già là, è la pittura che si rappresenta, che si fa conoscere”.

E qualche paragrafo più avanti:

“La pittura sfugge in continuazione, non deve essere mai statica: ogni cosa che sta all’interno, sia segno, pennellata, o materiale tende ad andare verso il proprio limite che deve sbilanciare continuamente l’intenzionalità di direzione del quadro. Mi hanno sempre attratto le cose in bilico, siano questi azioni, pensieri, materiali che stanno per muoversi, cose mai ferme, attrazioni e repulsioni, cose come in sospensione, in attesa”.

E infine:

“Il termine guardare […] è molto riduttivo: la pittura non va guardata, ma sentita; sentirla prima di vederla, nella sua instabilità, tensione, attrazione. Sentire la pittura”.

Sono appunti preziosi. Molti altri affiorano dalle dichiarazioni di poetica con cui Gastini, che avverte fortemente l’esigenza di illustrare il modo in cui le sue opere vanno avvicinate, spesso accompagna le proprie personali: andrebbero, tali dichiarazioni, spigolate con la massima diligenza. Sono, nell’insieme, un invito ad approfittare di un antico discorso per vararne uno consentaneo alla sensibilità dell’incertezza, della precarietà in cui opera, oggi, l’artista consapevole che il proprio lavoro è, prima di tutto, una ricerca ontologica, il risultato di un interrogarsi (e delirare) intorno alla struttura della propria espressione. Non ci si chieda cosa vuol dire questa o quell’opera, prima di averne rintracciato gli articoli e le articolazioni della sua costituzione (gracile, robusta, rigogliosa, generosa ecc.).

È di capitale importanza, per esempio, osservare come al guardare si opponga qui non il toccare, avanzato con spavalda certezza dall’impetuoso Cellini, ma il sentire – nel senso dell’intuire, dell’avvertire la presenza di qualcosa che non può compiutamente rivelarsi e che, anzi, rivelandosi, verrebbe catturato da una definizione e ne sarebbe morta –, come avverte da secoli lo sconsolato Guido Cavalcanti:

“e qual sì sente simil me, ciò crede.
Ma chi tal crede (certo non persona),
ch’Amor mi dona un spirito ’n su’ stato
che, figurato, more?”

Questa esperienza del sentire la pittura, questo viaggio che costeggia le sponde dell’ineffabile, e che, a ragione, può dirsi il movente recidivo e felicemente ossessivo di ogni lavoro di Marco Gastini, ha anch’essa precedenti illustri. Uno, più che illustre, lo troviamo, per esempio, nel celeberrimo e misterioso Las Meninas di Diego Rodrìguez de Silva y Velázquez (detto Velasquez). L’opera è troppo nota perché si debba qui tratteggiarla con dovizia di particolari, per cui, accogliendo quanto ne ha scritto Michel Foucault – che l’ha percorsa in lungo e in largo, ne ha mostrato le linee di forza degli sguardi dei personaggi, la conturbante presenza riflessa dell’oggetto ritratto (invisibile, ma identificabile) nonché la posizione dello spettatore che coincide con quella dell’oggetto da dipingere (nel caso di Velasquez da ritrarre) – possiamo con lui concludere che essa

“tende […] a rappresentare se stessa, in tutti i suoi elementi, con le sue immagini, gli sguardi cui si offre, i volti che rende visibili, i gesti che la fanno nascere. Ma nella dispersione da essa raccolta e al tempo stesso dispiegata, un vuoto essenziale è imperiosamente indicato da ogni parte: la sparizione necessaria di ciò che la istituisce […]. Lo stesso soggetto […] è stato eliso. E sciolta infine da questo rapporto che la vincolava, la rappresentazione può offrirsi come pura rappresentazione”.

Con Gastini, venuta meno l’idea non solo che la pittura implichi di necessità un oggetto da dipingere, ma anche che tale oggetto possa celarsi e venir sostituito con il dramma della sua rappresentazione, diventa più lusinghiero e coinvolgente che mai il turbinio degli stati emotivi e conoscitivi che consentono alla pittura di manifestarsi nello spazio tra il quadro, e anzi diremo meglio tra il lavoro (visto che quadro e pittura non sono più termini sovrapponibili) e lo spettatore, la cui posizione rimane esclusivamente frontale.


Marco Gastini o della pittura da sentire
Monografia su Marco Gastini, Danilo Montanari Editore, 2016

Di Marco Gastini, ohne titel
in “Colophon”, giugno 2013

La nave vichinga solca i filari
Ravenna, Danilo Montanari Editore, 1999

Una più del diavolo
Torino, Marco Noire Editore, 1994

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