Oscar Mondadori

di una poesia perduta

una che dice che a tirarla in lungo
è la stanchezza che parla, e la sua
cognizione un’ipotesi senza rimedio.
Ma il perdente fisso è un discorso

a se stante, ellissi per le fiancate,
cerchio per la facciata, calunnia che
dice c’è il dettato, vedrai, e sennò
il tema: e se ti emoziona la sua lode

una lingua ti farà rabbrividire. Per
imitarsi o spencolarsi c’è un’intiera
gamma di sleali attrezzature musicali

per intuirsi, gli occhi amari di chi
ama qualche volta, le sistole avare
di uno che dice che gli hanno detto

 

una tandem

A Elio P., eretico e alchimista viserbese del XX secolo

non so, ma l’idea di scolorare com’erba secca, con orgoglio
e tenacia, e limitato senso degli affari, l’idea di cantare
polvere di stelle, a squarciagola, pedalando in un campo,
o quella, più irriverente, più pertinente (una volta per tutte)
di sottrarsi alle prelazioni, agli usufrutti di una serie (mese
degli alberi scoppiettanti, luna “like a big pizza pie”, ossa
calcinate da formidabili temperature), per non tralasciare
l’urlo finale di quell’Autre che in Francia è lo stesso che dire
ciò che viene prima del Soggetto (la sua costante traumatica),
non è come chiedere scusa per l’ultimo e inadempiente
baluardo contro le malefatte del capitale? Neppure il perfetto
idiota, avvolto in un’accuratissima “parure di materiale
lettereccio”, può dirsi trascurabile opzione, veggente, o caso
eccellente di gestione razionale degli strappi, nella palude
degli investimenti: per sospettare un legame produttivo tra
realtà remote ci vuole tempo e voglia, e assenze parziali,
tremule, oggi, come ieri le foglie del pioppo, oppure il verso
dei grilli che perpetuo trema. “E c’è chi arriva a vedere oro”


Io temo che la mia disavventura

Io temo che la mia disavventura
non faccia sì ch’i’ dica: “I’ mi dispero”,
però ch’i’ sento nel cor un pensero
che fa tremar la mente di paura,
e par che dica: “Amor non t’assicura
in guisa, che tu possi di leggero
a la tua donna sì contar il vero,
che Morte non ti ponga ‘n sua figura”.
De la gran doglia che l’anima sente
si parte da lo core uno sospiro
che va dicendo: “Spiriti, fuggite”.
Allor d’un uom che sia pietoso miro,
che consolasse mia vita dolente
dicendo: “Spiritei, non vi partite!”

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